dal blog PENSIERI GRAFICI

Newsletter #11 – Ha senso parlare di packaging nel 2022?

Come-si-costruisce-un-packaging

Autunno 2022 "Ha senso parlare di packaging nel 2022?": questa è la newsletter che ho inviato il 22 settembre 2022 che parla di packaging dal punto di vista di una consumatrice e di una graphic designer.

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Autunno 2022 "Ha senso parlare di packaging nel 2022?": questa è la newsletter che ho inviato il 22 settembre 2022 che parla di packaging dal punto di vista di una consumatrice e di una graphic designer.

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È da qualche tempo che volevo affrontare questa tematica, quella del packaging, ma seppure gli spunti fossero moltissimi, non riuscivo a trovare un filo logico che conducesse un discorso con un senso compiuto. Finché nel giro di qualche mese, questi miei pensieri hanno trovato un legame.

​Ho incontrato per la prima volta il packaging nei primi anni 2000: diversi esami universitari in cui ho progettato confezioni e studiato Life Cycle Assessment per il ciclo vita di un prodotto, compreso logistica e trasporto al cui interno ovviamente si parla anche di packaging.

Perché il pack a questo serve, ed è importante non dimenticarlo: il confezionamento di un prodotto serve (quando serve veramente) a contenere e proteggere il prodotto al suo interno, non solo per la vendita – e qui ci affacciamo al Marketing – ma anche per il suo trasporto e stoccaggio – e qui interessa la logistica ma anche la normativa in materia di sicurezza.

Il packaging, perciò, non ha solo la funzione di essere riconoscibile tra una folla di prodotti competitor (e non) appoggiati sugli scaffali di un negozio: questa è tuttalpiù la facciata estetica dell’oggetto.

Per raccontarvi il mondo del packaging ho pensato prima di tutto a me come consumatrice: sarà capitato anche a te, a volte acquisti un prodotto e ti ritrovi in mano un oggetto di confezionamento che non ti aspetti e ti stupisce.
Come quando ho acquistato il deodorante Nuud, in cui il packaging è una confezione di cartoncino senza utilizzo di punti colla (un unico foglio piegato, bellissimo esempio di design) e chiuso con un elastico: 2 soli materiali, disassemblabili poiché non uniti, e riutilizzabili (l’elastico) o riciclabili interamente.

​O quando arriva uno dei pacchi di Amazon: oltre alla busta o scatola di cartone monomateriale, a volte il prodotto all’interno non ha un imballo, ma solo una “protezione”. Non so se vi è mai capitato: ordinare un oggetto da regalare, e riceverlo senza alcuna confezione o scatola che sia. 

A me è successo giusto qualche mese fa, avevo acquistato un regalo da donare per un compleanno, ed il prodotto (fragile tra l’altro) aveva solo la protezione di polistirolo, senza null’altro. Sono rimasta colpita dalla scelta (oltre che frustrata perché non potevo donare l’oggetto): la scelta di non utilizzare alcuna scatola contenitiva che mi parlasse del prodotto, con un’immagine o un marchio, una foto con il contesto di uso, ha reso l’oggetto non fruibile per un dono. Voi cosa avreste fatto, avreste regalato un oggetto nuovo senza alcun imballo? (Per la precisione, erano bicchieri, molto belli tra l’altro).

Quindi il packaging è un elemento superfluo? O è un elemento imprescindibile?

E cosa dire di prodotti che necessitano di istruzioni? Per l’uso o il consumo, o per la sicurezza? Pensate ad un prodotto farmaceutico: come si potrebbe utilizzare senza un’etichettatura/astuccio con le indicazioni precise sul dosaggio, sulla scadenza e sul lotto?

O ancora, pensate agli alimenti, magari sfusi: come si possono tracciare i lotti, il fornitore, le scadenze, magari per valutare eventuali contaminazioni, pensando ad allergie alimentari?

Negli ultimi mesi queste domande si sono fatte più pressanti, e ho lavorato sotto diversi punti di vista a ciascuno di questi aspetti. Da qualche mese, infatti, sto rielaborando tutti gli astucci farmaceutici di un cliente, poiché il D.L. n. 116 del 3 settembre 2020, (che recepisce la direttiva UE 2018/851 sui rifiuti, e la direttiva (UE) 2018/852 relativa agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio) ha introdotto l’obbligo di etichettatura ambientale per tutti gli imballaggi immessi al consumo in Italia (il sito di CONAI ha realizzato un importante lavoro di spiegazione e linee guida sull’applicabilità della norma). In un prodotto farmaceutico il pack è composto da almeno 3 elementi: l’astuccio, il foglietto illustrativo, e il blister che contiene il prodotto. Tre imballi, spesso 3 materiali, di cui indicare la composizione ed il corretto smaltimento.

E poi una grande sfida: come tracciare un prodotto sfuso? Come comunicare le necessità normative alla persona che acquista? Se siete mai stati in un negozio che vende prodotti sfusi, avete capito che non è un quesito semplice: con un altro cliente abbiamo iniziato ad affrontare l’argomento in occasione del rifacimento di un negozio, e ricercando tra i vari esempi di etichettatura esistente nel mondo dello sfuso ci siamo resi conto come sia molto difficile trovare un modello unico di tracciabilità. Questo è stato lo spunto per progettare con alcuni consulenti tecnici e sviluppatori un sistema di tracciabilità del prodotto digitale, in cui l’etichetta si arricchisce di un QRcode per ottenere informazioni aggiuntive sul prodotto: un progetto ancora in evoluzione, in cui stiamo studiando il tipo di etichettatura che è solo il punto finale di un percorso che si snoda tra normativa e tecnologia.

Ed infine, un progetto di packaging maggiormente legato al branding e alla logistica: come proteggere l’artigianalità di un prodotto alimentare, che deve essere spedito, e contemporaneamente raccontare un progetto alimentare e assolvere alla funzione di dono?

La progettazione di un packaging richiede diverse fasi, e spesso l’aspetto estetico e la comunicazione visiva è solo l’ultimo step di un processo ben più lungo: ne ho parlato con un articolo dedicato alla progettazione del packaging, per provare a mettere alcuni punti fermi e sequenziali a tutti i passaggi necessari alla creazione di questo oggetto. Di packaging esteticamente bellissimi, oggi, ce ne sono molti: forme strane, materiali diversi e particolari, decorazioni pazzesche, laminazioni ed effetti particolari… c’è l’imbarazzo della scelta.

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Come si costruisce un packaging di carta
(altrimenti detto: datemi carta e forbici!)

Ma il packaging è anche un costo: un costo per chi vende un prodotto, perché la confezione può essere necessaria senza avere un ritorno economico diretto; per questo un packaging particolare è uno strumento di comunicazione che si può permettere solo un’azienda che può investire (anche in momenti difficili come questo) e lungimirante rispetto alla propria identità di brand.Ma quindi cosa possono fare le aziende più piccole? Quali ragionamenti possono condurre a una scelta di brand, economica ed etica che includa il confezionamento del proprio prodotto? Non ultimo parlando di packaging, il tema della sostenibilità, che mi sta molto a cuore: ha a che fare non solo con l’acquisto, ma con la consapevolezza dell’uso delle risorse, qualunque esse siano (energetiche, materiali, economiche e anche di smaltimento). Questo tema necessita sicuramente un approfondimento, mi piacerebbe scriverci un articolo per il blog, in un futuro.Per questo rimango sempre molto affascinata e curioso spesso tra le notizie alla ricerca di esempi virtuosi in questo campo: come le refill pouch, confezioni per la ricarica di per promuovere il riuso delle bottiglie esistenti, utilizzate ad esempio per il Gin in Scozia, alcune delle quali possono essere rispedite al produttore come cartolina preaffrancata, per tornare ad essere riutilizzate (il vuoto a rendere 2.0).

​O come L!NCREDIBLE®, una rete alimentare realizzata in 100% lino che va a sostituire le retine di plastica monouso che avvolgono la frutta: un packaging realizzato dal Linificio e Canapificio Nazionale, storica azienda italiana che ha alle spalle quasi 150 anni di attività, insieme a Kukù Packaging International, impresa specializzata in packaging flessibile, e con la consulenza dell’associazione ambientalista Marevivo.

Ormai l’avrete capito, le mie newsletter (e i miei articoli sul blog) hanno tante domande, e poche risposte. Forse questa è la vera sfida attuale in questo campo: unire la funzionalità oggettiva di un pack, le funzionalità di comunicazione e marketing, le necessità legislative legate alla sicurezza, e soprattutto l’utilizzo di risorse materiali per la produzione dell’imballaggio. Destreggiarsi tra scelte che coinvolgono ambiti molto differenti per trovare una soluzione sicuramente difficile, e fare una scelta.
Magari anche quella di dire: il packaging, a volte, non serve.

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Ciao, sono Erica!
Ciao, sono Erica!

Mi occupo di tutti i progetti visivi di cui hai bisogno per comunicare. In questo blog racconto il mio sguardo sul mondo, gli stimoli grafici che osservo, parlo di comunicazione visiva, di strategie, e a volte anche di aspetti più tecnici.